…ma la Musa, mio caro, sottile!
Può il ricordo di una lezione di letteratura greca confortare e indirizzare i passi di una vita? Può un poeta di un antico passato risuonare con forza nel più vivo presente?
Ci sono cose, a volte, che per qualche motivo restano indelebilmente impresse nella nostra memoria. Non ricordiamo né l’istante prima né quello successivo, ma solo quegli attimi intermedi che si aggrappano tenaci alle nostre cellule e diventano a volte guida, a volte parte integrante di noi.
E’ stato così, per me, con Callimaco.
Chi era costui?
Un poeta della Grecia alessandrina che amava danzare fra le parole, divertire con leggerezza e portare avanti un nuovo concetto di poetica che si distaccasse dalla pesantezza classicista del passato. Un pensiero ricco di levità e di una modernità disarmante.
In realtà non ricordo bene né la sua storia né le sue opere, né voglio farne qui un sunto che è facilmente fruibile in rete.
Durante gli anni del liceo, però, le parole di Callimaco nell’Elegia ai Telchini mi si impressero al punto che tutt’ora mi accompagnano quasi ogni giorno.
Mi riferisco in particolare ad alcuni passaggi del Prologo, di cui riporto qui le foto del testo di letteratura da cui all’epoca studiavo (le sottolineature sono quelle di allora):
Alcuni passaggi li ricordo a memoria, e nella mia mente risuonano ancora le parole dell’insegnante di letteratura greca, innamorata della sua materia, che ce ne trasmetteva il significato:
con l’arte giudicate – non con la pertica persiana! – la sapienza
Dopo tanti poemi epici e chilometriche opere a imitazione dei lavori omerici, il valore dell’arte e della sapienza tornano finalmente ad avere una nuova unità di misura: il confronto con l’arte stessa, non già col metro che ne misuri la lunghezza!
Penso immediatamente a quanto una delle mie forme di poesia prediletta, l’Haiku, si allinei con questo concetto: brevissimo per definizione, umile per natura, poetico e profondo quanto poco altro esiste. Una pennellata soltanto, ma sufficiente a delineare un mondo intero.
Apollo mi disse: […] mantenete a noi (Dei) la vittima grassa, ma la musa, mio caro, sottile!
Come si può pensare che il protettore delle arti suggerisca qualcosa di diverso da uno stile leggero e leggiadro? La Musa, metonimia per l’ispirazione poetica e l’opera letteraria, deve possedere grazia, bellezza e finezza stilistica. L’unica cosa grossolana e pesante concessa a un poeta (aoidè ᾀοιδέ nel testo, ovvero “aedo”, cantore) è la vittima da sacrificare sull’altare degli Dei.
I luoghi per cui non passano i pesanti carreggi, quelli tu devi calcare […] le vie più strane, anche se di angusto passaggio, quelle tu prenderai
L’artista, quindi, non può certo ripercorrere le stesse strade per cui passano tutti: egli non scrive, infatti, per chi ama il frastuono degli asini, ma si addentra per vie sconosciute e mai percorse al fine di trovare modi nuovi per allietare chi ambisce all’armonico suono delle cicale.
Questo pensiero espresso nelle parole di Callimaco mi accompagna ogni volta che trovo una difficoltà nella realizzazione dei miei desideri o dei propositi del giorno, suggerendomi a volte la direzione da prendere.
Tuttavia mi vengono in mente tante altre cose, apparentemente simili, quando penso a queste parole che risuonano nella parte più profonda di me.
La prima è il modo di dire “Per aspera ad astra”: potremmo tradurlo come “attraverso le asperità si raggiungono le stelle”.
La seconda è culturale e deriva dalla colorita terra da cui provengo, che con la sua lingua lo esprime così (per quanto la trascrizione non renda affatto la forza delle parole): “Senza pieni nun si vidi bieni”. “Senza penare non si raggiunge alcun bene (ovvero un risultato)”.
In questi due ultimi modi di dire, però, io percepisco più enfasi sulla connotazione negativa della fatica, delle difficoltà e del dolore. Per carità, è verissimo: di solito le mete più lontane, la maturazione personale più intensa, la realizzazione più grande si raggiungono passando attraverso dolore e fatica.
In Callimaco, però, io leggo con maggiore forza la presenza di un lato ludico, quasi divertente nello scegliere i cammini più angusti, le strade più impervie, le vie più strette, che è il piacere della ricerca e della scoperta, dello spalancare gli occhi e gli orecchi verso cose nuove. Non conta la fatica che costa, quello che importa davvero è il cammino verso e attraverso vie originali e uniche, dove le cicale friniscono indisturbate, dove i carri degli altri, pesanti di fatica, dolore, noia, reiterazione e passato, non riescono nemmeno a pensare di arrivare; dove possiamo essere persone nuove che trovano vie nuove per raggiungere la propria maturazione e il proprio obiettivo non senza affrontare le asperità, ma affrontandole con l’eccitazione dell’esploratore che corre il rischio per primo su esaltanti vie mai percorse.
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